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giovedì 30 luglio 2015

La grande poesia come esperienza sorprendente




Quanti modi ci sono per descrivere un’onda, per raccontare il minaccioso incedere di un fronte nuvoloso sul mare e l’avanzare dei Monsoni?
Koh Tao Lines prende forma sull’isoletta di Koh Tao, nello “sparso arcipelago thailandese”, dall’incontro di uno tra i più grandi poeti contemporanei e la Natura nel suo essere più vitale e selvaggio. Ne nasce una raccolta poetica di una ricchezza sorprendente, in cui il senso del sublime permea ogni verso.


Leggendo la poesia di Camillo Pennati, torna in mente la riflessione di  Hegel intorno alla parola “senso” e alla sua straordinaria duplicità nell’indicare, da una parte, la percezione sensibile, dall’altra, il pensiero. In Koh Tao Lines, assistiamo all’intero dispiegamento di questa possibilità semantica; le forme della natura toccano infatti i sensi del poeta, per conquistare, di volta in volta, attraverso di lui, un nuovo significato. Le onde, il mare, le palme, il vento di Koh Tao si fanno, per noi, svelamento di un’irraggiungibile complessità, sorpresa, rivelazione, epifania.

Camillo Pennati è nato a Milano nel 1931, dal 1958 al 1970 ha vissuto a Londra. Oltre che poeta è anche traduttore di testi di narrativa e di poesia. Tra gli autori da lui tradotti si ricordano: Philip Larkin, Thom Gunn, Ted Hughes. Ha pubblicato, fra l’altro, Una preghiera per noi (1957), Landscapes, con prefazione di Salvatore Quasimodo (1960), L’ordine delle parole (1964), L’iridato paesaggio, con un saggio di Giorgio Luzzi (1985), Gabbiano e altri versi, con traduzione a fronte di Ted Hughes e disegni di Lester Elliot (1990). Presso Einaudi, nella «Collezione di poesia», sono apparsi Erosagonie (1973), Sotteso blu (1983) e Una distanza inseparabile (1998).

Commento di Giorgio Linguaglossa





martedì 28 luglio 2015

Nel cuore del Paese



J. M. Coetzee
Nel cuore del paese



Il libro del Premio Nobel J.M. Coetzee, Nel cuore del paese, cattura e disorienta.
Un racconto in prima persona fatto da Magda, una giovane donna che vive con suo padre in una fattoria sperduta del Sud Africa, lontano dalla vita e, apparentemente, da ogni passione.
Il paesaggio che fa da sfondo all’intero romanzo è un orizzonte sterminato di sabbia, polvere e terra dura, sulla quale sorge e tramonta un sole rovente che inaridisce ogni cosa. Al di là della fattoria dove lavorano pochi schiavi, pare non esserci nulla per uno spazio sconfinato che non riusciamo a quantificare. Chi lascia quella casa sembra infatti destinato a non tornare.
I giorni potrebbero trascorrere monotoni per noi spettatori tra le faccende domestiche e i lavori degli schiavi se le vicende non venissero filtrate attraverso lo sguardo di Magda, una donna in esilio dal mondo. 


È lei, l’ossuta padrona di casa senza un’età, dalle vesti castigate e dallo sguardo modesto, la tetra figura senza forme di donna, la creatura spigolosa mai sfiorata da un uomo che non ha conosciuto l’amore di sua madre, la donna che confonde gli affetti più cari in una nube di incertezza, che dimentica il passato, che deforma il presente, è lei, dicevamo, a raccontarci questa storia.
Nessun narratore super partes risolverà i paradossi di questa vicenda che a tratti si fa quasi surreale, nessuna logica potrà intervenire a sciogliere i nodi e a dare alle cose le giuste proporzioni; pagina dopo pagina il lettore si scopre in balia della follia visionaria della protagonista.
Per due volte Magda commette lo stesso omicidio e per due volte siamo costretti a crederle, a sentire attraverso di lei l’odio covare fino a esplodere in violenza, sciogliersi in sangue, contrarsi in indifferenza. L’enormità delle sue azioni evapora in una sorta apatia, l’attenzione si concentra sui dettagli. Lo sguardo, la movenza di una serva desiderata dagli uomini diventano la sua ossessione: una donnetta stupida ma desiderata.
La vita in Magda, nonostante le apparenze, non è stata sedata; si ribella, spia cinica e ingorda la felicità dei suoi servi, li annusa. La sua camera è scura, fredda, mentre in quella dei suoi schiavi “la finestra è chiusa, l’aria [...] è densa di odori umani” e loro, gli schiavi “sono stati nudi per tutta la notte, svegliandosi e riaddormentandosi, sprigionando afrori complessi”.
Magda li invidia, vorrebbe amare ed essere avvolta da quegli stessi odori, da quelle essenze di esseri umani ma la sua sostanza è quella della solitudine. Il suo corpo si dibatte, reclama la vita ma è arido come la terra in cui è cresciuto.
La storia di una donna e la sua vita banale, le vicende di una strega e le sue allucinazioni: che cosa leggiamo in Nel cuore del paese?
La realtà costantemente in bilico sul paradosso, l’assassinio con il suo fiume di sangue, la disperazione che deforma lo spazio, le azioni che dilatano il tempo ci riportano alle atmosfere dei grandi romanzi sudamericani. Ma mentre in Marquez il paradosso apre una dimensione ricca del reale e più ampia dell’esistenza, in Coetzee il reale è compresso in una coscienza malata e distorto nella negazione della vita vissuta.
L’Africa colorata, piena di ritmo e di passione mostra l’altra faccia: solitudine, spazi aridi e desolati che si fanno specchio dell’esperienza coloniale.
                                                                                                                                                 Erre

sabato 25 luglio 2015

Quella straordinaria “Divina Commedia” di inizio ‘900



Quella straordinaria “Divina Commedia” di inizio ‘900





Quando all’inizio del ‘900 la ditta Alinari di Firenze bandì un concorso per l’illustrazione della “Divina commedia”, con l’intenzione di proseguire la grande tradizione che ha in Doré il suo esponente più noto, si rivolse sia agli artisti di consolidata tradizione classica che a quelli emergenti, orientati al Liberty.
Nel libro “Divina Commedia. Le cartoline illustrate di Virgilio Alterocca” troviamo uno straordinario compendio del fermento e della diversità culturale che caratterizzava quell’epoca. Le illustrazioni (una per ogni canto), concepite ed elaborate attraverso sensibilità differenti, si armonizzano in un una visione complessa dell’opera del Poeta.
Dal gusto rinascimentale, smaccatamente michelangiolesco, di De Carolis, le cui figure guardano al “Giudizio universale” della Cappella Sistina, si passa alla tendenza Art Nouveau di La Bella che, formatosi a Parigi, risente fortemente dell’influenza di un artista come Toulouse Lautrec, o al raffinatissimo Focardi, in cui il Liberty si declina nella sua maniera più aggraziata.
Il simbolismo e le suggestioni di Gustave Moreau diventano immagini d’Inferno nelle potenti visioni di Giorgio Kienerk.
La modernità, in una delle sue forme più dirompenti, passa attraverso la visione di un artista orgogliosamente artigiano come Duilio Cambellotti, rappresentante illustre di una generazione che nega le gerarchie nell’arte e che si impegna per consegnare la bellezza a ogni momento della nostra vita, contro l’imperante cultura massificata che si sta imponendo attraverso l’industrializzazione.
Pagina dopo pagina, decine di grandi artisti vi accompagneranno in questo viaggio straordinario. “Divina Commedia. Le cartoline illustrate di Virgilio Alterocca”, cento meravigliose visioni d’artista.

Museo Kienerk:
Museo Cambellotti:
Divina Commedia. Le cartoline illustrate di Virgilio Alterocca: 

lunedì 20 luglio 2015

Che baldoria queste “volpi”!



Che baldoria queste “volpi”!

#giornatemedioevali2015
… Dalia c’era



Poggio di Otricoli, arroccato sul suo colle, possiede una bellezza intatta, racchiusa nel giro di mura possenti. Tutt’intorno una campagna rigogliosa e dolcemente aspra, lambita dalla montagna ombrosa, tradisce il carattere dei suoi abitanti: accoglienti, fieri, generosi e indipendenti.
Al calar della sera, il castello si accende alla luce di centinaia di fiaccole e, dall’alto della torre alla sommità della rocca, sotto lo stendardo delle Vulpes, la voce potente del banditore annuncia ai visitatori che si sta per cominciare.
“Per tre giorni continovi li popoli de lo borgo, castello, contado et delle ubertose campagne de lo fiero Castrum Podii Medii se disfideranno ne li giochi et governeranno le taberne co lo santo boccale de madonna Filomena, per lo conforto de li voti stomaci et de le gole arse…”, per celebrare la liberazione dal vassallaggio alla potente Narnia, avvenuta nel secondo decennio del XVI secolo.
Et festa sia!
Danzano nel cuore del borgo, partorite da un medioevo favoloso, figure dalle gambe lunghe come di insetto, nella ruota di gonne arcobaleno; le loro voci allegre e stridule planano oltre il parapetto per sorvolare la vallata. Lontano, le grandi ali del gufo reale lambiscono il cielo, tagliano l’aria tiepida della sera del luglio inoltrato, quasi accarezzano, scendendo, le teste dei bambini accalcati per vedere, poi si chiudono sulle zampe che artigliano il braccio del falconiere che attende al centro della piazza.
Scherzano i giullari, improvvisando giochi in ogni angolo; sollevano i mangiafuoco ohoh! di meraviglia, ardono i grossi bracieri e si accedono i forni in cui saranno cucinate le pietanze della cena.
Musici percorrono le vie intonando canti medievali e l’allegria briosa dei versi del “Vinum bonum” viaggia per le strade e gli stretti saliscendi avvinghiandosi alle caviglie e istillando in tutti la voglia di ballare.
Gli artigiani cuciono, cuociono, arrotano, filano, impastano, gli arcieri si lanciano in cacce immaginarie, l’oste mesce il vino e i frati dispensano a fiumi la loro birra dorata.
La sdrolica legge le carte rivelando il futuro ma nessuno domani, al sorgere del sole, ricorderà i suoi vaticini.
La notte è lunga nel Castrum Podii Medii e fino all’alba, per le colline dolci e aspre e dentro il bosco fin sopra alla montagna, si odono canti, musica e risate, suono di tamburi e lo sbattere dei boccali colmi di vino della generosa madonna Filomena…
Tutto qui è allegria e meraviglia e, andando via, ci scopriremo a contare i giorni che ci separano dal nostro ritorno, ormai perdutamente innamorati del piccolo castello, con la sue torri e la bella rocca a guardia della valle, e dei suoi abitanti, le “vulpes”, artefici ingegnosi di questa straordinaria festa.