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lunedì 13 luglio 2020

La RIVOLUZIONE è un prodotto ben confezionato



Parliamo della Rivoluzione di "Trovami un modo semplice per uscirne" con il suo autore, Nicola Nucci.


Ciao Nicola, intanto: da dove dobbiamo uscire e... hai trovato il modo?
Forse. Magari alzandosi dal divano. Abbandonando quella zona di confort che ci protegge sì, ma che ci opprime anche. Infondo cosa c’è di bello nel riempirsi di schifezze guardando una serie tv americana? E nel vomitare sentenze social? È veramente questa la prigione che vogliamo sceglierci? Boh. Non lo so.

Parlaci dei due protagonisti del libro, Nick e il suo amico. Chi sono?
Volentieri. I protagonisti sono due ragazzi normali. Due ventenni (trentenni) che, finito il loro percorso di studi si trovano nella condizione di imbastirsi una vita, un futuro. E lo fanno. O almeno ci provano. Con le scarse conoscenze a loro disposizione e con la confusione tipica di quando si è poco focalizzati.

Nicola Nucci, “Trovami un modo semplice per uscirne”,
terzo classificato per sezione narrativa edita del 
Premio Nabokov 2020

Raccontaci della rivoluzione di Nick…
Nick forse è il sognatore. Quello che ancora ci crede. Quello che non si è arreso del tutto. Quello che aspira a qualcosa di meglio. Quello che considera il triangolo casa-lavoro-spesa un sacco limitante. Però, se siamo bravi a leggere tra le righe, intuiamo anche i primi segni di cedimento. Non lo so: Nick lo paragonerei ad un velocista nell’istante in cui la fuga scappa e non c’è verso di riprenderla, e allora si gioca per la seconda piazza e accidenti. Tipo così. Non trovi?

E l’idea di Rivoluzione di Nicola Nucci qual è?
Oggi la Rivoluzione è un po’ quella che descrivono i due personaggi. Ovvero un prodotto ben confezionato che possa essere commercializzato e rivenduto come merce di scambio. Succede così nell’editoria, nel cinema, chiaramente nella musica. È un peccato. Questo sta portando ad un livellamento verso il basso. Praticamente se non hai particolari talenti te li costruiscono a tavolino. È un bene? E’ un male? A voi la scelta.




Pensi che con la scrittura si possa fare la Rivoluzione?
Certo. Un po’ sì. Però è difficile. Ne sono state dette di cose. Essere originali è scomodo. Oggi poi non c’è tempo, scappiamo sempre, ma dove è che andiamo? E allora non c’è tempo. Quindi tutto diventa una marmellata senza sapore. La verità è che le rivoluzioni ci sarebbero ma corriamo a testa bassa e ce le perdiamo.

Nel tuo libro c’è musica. In modi diversi. C’è musica perché le tue parole “suonano” in modo originalissimo e riconoscibile e c’è musica perché sono tanti i riferimenti a gruppi indie. Cosa rappresenta la musica per Nick e il suo amico? E per lo scrittore Nicola Nucci?
I due personaggi vedono la musica come interesse comune e argomento di conversazione. Hanno gusti simili. Poi sì, bisogna dire che spesso cercano proprio in essa rifugio ai tormenti quotidiani. Per il resto sì, il testo si regge tutto su frasi ripetute e accordate alla trama come fossero note su uno spartito musicale. Questo accade perché la mia visione musicale va di pari passo con quella letterale e allora cioè, escono fuori questi guazzabugli e anche di peggio.

Il tuo libro è stato paragonato ad “Aspettando Godot” dalla giuria del Premio Italo Calvino. Per quale motivo secondo te?
Credo per l’ammorbante senso di attesa. Le atmosfere ritornano più di una volta in effetti. Tuttavia sebbene qualcuno mi abbia ribattezzato come “Il nuovo Beckett” in realtà i miei lavori sono più vicini a quelli di autori come Dave Eggers, Roddy Doyle e Boris Vian. Però questa è solo una mia idea eh.



Perché hai voluto scrivere un libro così “diverso” con il rischio di non essere capito?
In realtà un autore non è libero di scrivere quello che vuole. “Trovami un modo semplice per uscirne” è uscito un po’ da solo e quando va a finire così tu hai la pistola puntata alla tempia e non puoi telare via, nemmeno per prendere un caffè. È una rottura sai. Perché poi la notte ci pensi e ci ripensi e se non scrivi non ti muovi eh. Poi va beh, il rischio di non essere capito non l’ho valutato perché credo si capisca tutto perfettamente. Più o meno tutti i lettori hanno capito il messaggio dell’opera quindi…



Molti critici ti hanno recensito. Quali parole hanno centrato meglio il senso di “Trovami un modo semplice per uscirne”?
In realtà tutte. L’arte, la musica, la letteratura sono materie semplici. Qualsiasi aggettivo è sempre figlio di un giudizio personale e condivisibile nella misura in cui “non credo nelle tue idee ma sono disponibile anche a morire per darti la possibilità di parlare” e via discorrendo quindi: la ragione è ovunque e da nessuna parte, allo stesso tempo.



"Trovami un modo semplice per uscirne" di Nicola Nucci



lunedì 6 luglio 2020

L'armonia fra le pietre, i borghi e i paesaggi dell'Umbria di Claire Arnot



Da dove viene il titolo del tuo libro "Qui non piove mai"?
L'abbiamo tratto da un  detto popolare che ho sentito da un vicino, appena arrivata in un paesino dell'amerino dove avevamo comprato la  seconda casa : "Qui non piove mai, o siamo troppo buoni, o siamo troppo cattivi". Mi era talmente piaciuto che l'ho citato in introduzione nella versione francese originale, poi ho suggerito di usarlo in parte per il titolo di quella italiana.

Che cosa ti ha colpito di più dell’Umbria appena ti sei trasferita dalla Francia?
L'armonia fra le pietre, i borghi e i paesaggi, coltivati ma non troppo, come in Toscana, ad esempio, dove ho anche vissuto un anno da studentessa, vicino a Siena. Quindi mi piace la parte ancora boscosa, un po' selvatica e misteriosa. Si sente che siamo nell'entroterra, più vicini ai monti che al mare. Apprezzo pure la gastronomia umbra, semplice e gustosa. La gente cordiale ma non invadente.  Il carattere riservato, un po' ruvido, che mi ricorda la mia infanzia sulle Alpi.




Come hai raccontato l’Umbria nel tuo libro?
Da vari punti di vista, pensando ad un pubblico francese o francofono all'inizio. C'è l'Umbria della cartolina, natura e cultura, con i suoi bei paesaggi e le città d'arte, ma c'è anche una regione più rurale e segreta da scoprire. I miei numerosi personaggi la rappresentano tutti sotto i  vari aspetti, come un  "mosaico" o un puzzle che si delinea, pagina dopo pagina.

Due cose dell'Umbria che ti ricordano la tua Provenza e due cose che invece le rendono profondamente differenti...
Colline, profumi, estati roventi (sono quindi 3!) ma in Umbria c'è più acqua (adoro le cascate delle Marmore, mi danno una grande energia!) e quindi più verde. Ci sono anche veri gioielli architettonici  e borghi più curati in Umbria.




Come sei riuscita a coniugare la “dolcezza” del paesaggio umbro a una trama ricca di inquietudine e mistero?
Ispirandomi alla natura umana... e osservando molto intorno a me. Come nelle innocenti e verdi campagne inglesi... può succedere di tutto in mezzo a un bel borgo medievale umbro!

Ci descriveresti la tua protagonista con un rapido “tratteggio”?
Hélène Fontayne può essere considerata come un mio "alter ego" fino a un certo punto: provenzale, insegnante di francese che vive in Umbria, sposata a un avvocato, madre di due maschi... ma è anche un po' pigra, indolente, malinconica, in crisi con il marito e la bilancia poiché e si butta sulla cioccolata appena si sente giù di corda! Cose che  mi corrispondono solo in parte. Molto più giovane di me (40 anni), risolve i misteri dell'intrigo quasi suo malgrado, usando il  fiuto e una certa tenacia che alla fine salverà una vita. È un personaggio di fantasia con tratti universali in cui, secondo il commento di varie lettrici, molte donne si sono identificate. E questo mi fa piacere.

E il personaggio più tipicamente “umbro” di questa storia?
Antonio Antonelli, detto Tonino, o "il bracconiere". Nato nelle colline umbre, amante della macchia e della caccia, legatissimo al suo cane, il suo unico compagno. Ma anche Gabriella, la maestra, con cui  rendo omaggio alla categoria dei preziosi  insegnanti delle scuole elementari dei paesini delle campagne. Sono spesso persone colte e  molto umane, vicino ai ragazzi italiani e stranieri, che spingono a studiare per uscire da una certa limitatezza fisica e culturale.

Cosa ci fa scoprire questo libro a proposito dell’Umbria?
Forse, con lo sguardo d'una straniera, una realtà poco conosciuta, un po' lontana dalle grandi città e dalle zone turistiche ma comunque in piena trasformazione, perché oggi è difficile vivere fuori dal mondo...




Come hanno accolto i lettori francesi il tuo romanzo?
Abbastanza bene direi: ho ricevuto complimenti per la descrizione dell'Umbria, che ha dato voglia a qualcuno di venirci in vacanza, per la scoperta della gastronomia (perché nelle versione francese ci sono ricette tipiche umbre in fondo) e infine, malgrado i numerosi personaggi che non sembrano legati fra di loro all'inizio del giallo, per l'intrigo che li riunisce e il  finale sorprendente.

Progetti futuri?
Per ora sono tornata a vivere in Provenza per qualche mese ma non dimentico la mia cara Umbria d'adozione; ho un terzo giallo in cantiere (un po' arenato, lo confesso, in questo strano periodo...) sempre con Hélène Fontayne e il paese di  Montiano; ho collaborato con una pittrice e illustratrice francese per bambini, riscrivendo i testi del suo bellissimo Diario di viaggio a Cuba in bici (stiamo cercando un editore!) e anche con una fotografa e artista contemporanea franco-americana che vive fra New-York e Venezia: le ho scritto testi brevi e pensieri sul tema Donna e fertilità, per una sua mostra futura. Mi piace molto questo tipo di collaborazione, dopo anni di scrittura (e traduzione!) solitari. Infine, due anni fa, un mio racconto inedito ispirato al  palazzo Venier, sede dell'Alliance française di Venezia, è stato selezionato per fare parte, appunto, d'un libro collettivo sulla storia di questo bellissimo edificio, che dovrebbe uscire a dicembre, contemporaneamente a Parigi e Venezia.  Animo Laboratori di Scrittura creativa in lingua francese dove mi chiamano, in Francia o Italia, presso licei, biblioteche, Caffè associativi, ecc.

GRAZIE CLAIRE, A PRESTO!

Claire Arnot

QUI NON PIOVE MAI

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