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domenica 19 marzo 2017

Essere padre durante la guerra: proteggere i figli dalla violenza



Meravigliosa figura di papà della letteratura contemporanea. Oggi, San Giuseppe, Festa del Papà, riportiamo alcuni passi de “I Partigiani non c’erano” di Germano Rubbi, regista, scrittore, attore di vero talento.
Essere padre durante la guerra, nel 1943, avere la responsabilità dei figli in un mondo governato dalla violenza e dall’incertezza.
Fabrizio Fabbri, il papà forte e invincibile agli occhi del figlioletto Virgilio, non potrà cancellare tutto l’orrore ma sarà d’esempio per la vita con la sua forza, il suo coraggio, la sua onestà.


«Virgilio vedeva da sempre suo padre come una sorta di colosso invincibile, la cui sola presenza infondeva sicurezza.
L’anno prima, durante i festeggiamenti in onore di San Pancrazio, l’aveva visto sconfiggere, da solo al tiro alla fune, ben tre di quei soldati tedeschi dell’aviazione che stavano nel­la caserma di Calvi. I venti litri di vino rosso posti in palio come primo premio della gara erano stati distribuiti in piaz­za, fra l’entusiasmo dei calvesi che avevano brindato al vin­citore, con esclamazioni di gioia e pacche sulle spalle. Quel giorno, Virgilio se lo ricordava bene: ricordava la grande mangiata e i brindisi andati avanti fino a tardi. Ricordava la sensazione di sicurezza che aveva provato nel vedere l’in­vincibilità del genitore ma, soprattutto, si ricordava lo stra­no episodio avvenuto verso le dieci di sera. Nella calca rumo­reggiante della piazza, una persona si era avvicinata furtiva­mente alle spalle di suo padre: “Bravo, Ferri. - gli aveva sus­surrato lo strano personaggio - Hai fatto vedere ai nazi di che pasta siamo fatti”.
Fabrizio era rimasto sorpreso. In un attimo svanirono i fumi dell’alcool e nei suoi occhi apparve qualcosa che Virgilio, prima di allora, non aveva mai associato a suo padre: timore.
[…]
“Papà, se ti chiedo una cosa, tu mi rispondi sincero sincero?”
Fabrizio aveva smesso di mungere una delle mucche che aveva nella stalla poi, dopo essersi passato il dorso della mano sulla fronte sudata, lo aveva guardato consapevole che, quan­do suo figlio gli si rivolgeva in modo così serio, valeva comun­que la pena sospendere per un istante il proprio lavoro.
“Che succede?”
“Chi è Zazzo?”
La domanda lo colse di sorpresa, lasciandolo indeciso su cosa rispondere. Suo figlio aveva solo dieci anni: più rima­neva distante da quelle questioni, meglio era.
“Vieni qua.”
Aveva sollevato Virgilio per sistemarlo su uno degli sga­belli di legno usati per mungere le mucche.
“Andavamo a scuola insieme da piccoli.”
“E adesso?”
“Adesso tu mi prometti che se io ti dico una cosa non la dici mai a nessuno, mai! Va bene?”
Virgilio aveva guardato suo padre negli occhi: sarebbe rimasto il loro segreto.
“Promesso.”
Fabrizio si accucciò di fronte a suo figlio posandogli le mani sulle ginocchia.
“Zazzo è una specie di uomo delle montagne che di not­te va in giro a uccidere gli animali. Bisogna tenersi alla larga da lui, perché se non trova animali ruba i bambini.”
“Papà?”
“Sì?”
“Per questo la sera della festa di San Pancrazio, quando ti è venuto a parlare, avevi paura di lui? Perché pensavi che portas­se anche a te sulla montagna con lui a uccidere gli animali?”




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